ATTILIO MAGUOLO E L'ARCHITETTURA VENETA NELL'ISTRO QUARNERINO

Lia De Luca – L’architettura veneta in Riviera del Brenta: la villa. Esperienze urbanistiche a confronto.

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La Riviera del Brenta è un luogo costruito, modellato dalle innumerevoli modifiche apportate nel corso dei secoli dai suoi abitanti e governanti. Il fiume Brenta nel suo corso di pianura ha subito numerose trasformazioni geografiche, naturali o artificiali. Fin dai tempi antichi il fiume era usato
per scopi commerciali, in particolare collegava la città di Padova al mare; per facilitarne la navigazione e controllare il flusso d’acqua furono creati vari tagli. Il territorio bonificato era particolarmente fertile e allettante.
Un periodo di scontri tra Padova e Venezia nel Trecento portò alla fortificazione della zona con la creazione di numerose torri e castelli. Alla vittoria della Serenissima con la sottomissione di Padova seguì la demolizione di quasi tutte le costruzioni fortificate. Il 17 gennaio 1406 i Carrara prigionieri a Venezia furono condannati a morte e Venezia occupò la terraferma. I vecchi edifici furono incamerati dallo Stato e venduti principalmente a nobili e benestanti Veneziani. Gli ampi possedimenti agricoli che si crearono avevano una casa padronale; nel Quattrocento si trattava di normali edifici di campagna abbastanza comodi da ospitare il padrone, quando si recava a gestire personalmente i suoi terreni, ma non erano ancora vere e proprie ville. L’avvio della costruzione di edifici pregevoli dal punto di vista architettonico risale al Cinquecento.
Per fare un esempio nel 1559 il famoso architetto Andrea Palladio costruì a Malcontenta una villa per la famiglia Foscari, lo splendido edificio è oggi una residenza privata parzialmente aperta al pubblico.
Gli investimenti in terraferma diventarono un’opzione allettante per i ricchi veneziani, un’ottima alternativa al commercio marittimo, dove la pressione delle nuove rotte era incalzante. Iniziò un lento processo che portò i patrizi a competere tra loro per l’edificio più maestoso, una “gara” che ci ha lasciato numerose splendide ville, sopravvissute all’abbandono seguito alla caduta della Repubblica Marciana e all’urbanizzazione selvaggia novecentesca.
Riporto qui tre esempi di salvaguardia degli immobili di pregio in Riviera del Brenta. Un processo costoso, che richiede collaborazione tra pubblico e privato e finanziamenti e/o agevolazioni per permettere alle realtà di sopravvivere.
Il primo esempio è anche quello più famoso a livello turistico: La Nazionale Villa Pisani, un modello di villa statale trasformata in museo. Rimando agli atti per gli approfondimenti, limitandomi qui a dei brevi accenni. La villa si trova sulla riva sinistra del fiume Brenta di fronte a San Pietro di Stra. Iniziata a costruire nel 1720 dall’architetto Gerolamo Frigimelica per Alvise e Almorò Pisani, dove esisteva una precedente villa abbattuta. La costruzione fu terminata nel 1740 dal Preti. La villa era per i Pisani residenza di rappresentanza e doveva mostrare agli occhi di tutti la magnificenza della famiglia. La monumentale costruzione è a pianta rettangolare con due cortili interni divisi dal colonnato che regge il grande salone da ballo. La villa era circondata da un sontuoso giardino, importante quanto la costruzione per dare lustro ai proprietari. Ermolaio I, detto Alvise Pisani, filofrancese, nel 1797 ospito Napoleone presso la villa e nel 1807 fu colui che vendette la villa allo stesso Napoleone, per 937.000 franchi. Si dice che Napoleone vi abbia dormito solamente una notte per poi cedere la
villa il 29 novembre 1807 al Viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais e alla moglie Amalia.
La villa continuò il suo ruolo di dimora di rappresentanza sia coi francesi sia con gli austriaci. Nel 1866 il Veneto entrò nel nascente Regno d’Italia, fu tolto lo stemma Asburgico e sostituito con quello della Real casa d’Italia, la proprietà però non rientrò tra le dotazioni immobiliari della corona,
venne messa all’asta due volte nel 1874 e nel 1882, senza successo. Ha Inizio una lunga fase di declino per l’edificio e di deperimento per il giardino. Le adiacenze vengono affittate a privati.
Nel 1882 il governo la dichiara monumento nazionale, ma non fornisce fondi sufficienti per i restauri. Il periodo di abbandono, con restauri puramente conservativi, dura fino agli anni 70 del
Novecento, a quella data la villa giace in uno stato di semi abbandono, con infiltrazioni e danni anche al complesso principale. Dal 1990 si riaccese l’interesse per questo tipo di costruzioni storiche, furono avviati una serie di restauri più completi e fu ricreato il giardino storico.
Riportata a nuova vita, la villa è diventata un Museo nazionale aperto al pubblico. Vi si svolgono mostre e iniziative culturali. Questo è un esempio di come l’intervento statale possa salvare un edificio e restituirlo alla
comunità. L’accesso alla villa e al giardino è a pagamento, sono previste riduzioni e giornate gratuite, ora sospese per l’epidemia di Covid-19.
Un esempio diverso di conservazione è quello della Villa Foscari a Malcontenta, questo edificio fu costruito, come detto sopra, nel 1559 dal Palladio per i fratelli Nicolò ed Alvise Foscari. Ospitò nei secoli numerosi personaggi illustri. L’edificio è cubico con un grande pronao ionico centrale
coronato da timpano nella facciata verso il canale. Sono presenti due appartamenti distinti di tre stanze, uno per ogni fratello. La villa venne ampliata alla fine del seicento con due fabbricati con portici in modo da formare un’ampia piazza.
Nel 1848-49 la villa venne occupata dalle truppe austriache che assediavano Venezia, il parco e le strutture esterne furono distrutte. Quando la villa passò dai Foscari ai contadini del posto divenne casa rurale e deposito di
granaglie. Le decorazioni interne furono strappate e i muri imbiancati. Nel 1926 la villa fu acquistata dai Landsberg, signori brasiliani, che si occuparono di parte dei restauri e procurarono il nuovo arredo.
Nel 1974 l’architetto prof Antonio Foscari acquistò la villa restaurandone la facciata a proprie spese, mentre l’Ente per le ville venete si occupò del restauro della decorazione interna. Oggi La Malcontenta, com’è soprannominata la villa, è una residenza privata il cui piano nobile, in
cui si mantengono i due appartamenti originali pensati per i fratelli Foscari, è visitabile in orari prestabiliti a pagamento.
Questo è un esempio di collaborazione positiva tra pubblico e privato nella conservazione di un edificio storico in favore della comunità.
Il terzo ed ultimo esempio che porto oggi è Villa Ducale a Dolo. Nel 1884 il nobile veneziano Conte Giulio Rocca, edificò lungo il fiume Brenta una bellissima villa padronale, sui resti di una più antica costruzione Settecentesca, di cui mantenne e valorizzò il bel parco con statue e siepi e la
chiesetta che fanno tuttora parte della proprietà. Sviluppata su due piani, presenta uno schema compositivo classico, con il blocco centrale che avanza sui due alle estremità. Dopo vari cambi di nome e di proprietà, la villa è oggi un prestigioso hotel, che ospita anche banchetti di nozze nel
rinomato ristorante.
Questo è un esempio di investimento privato in un edificio storico, che ne permette comunque un’adeguata conservazione e l’apertura al pubblico. Anche se completamente ri-arredata, la villa conserva ancora parte degli stucchi e dei pavimenti originali e alcuni pregevoli lampadari.
Quelli riportati qui oggi sono tre esempi di buone pratiche nel restauro e conservazione di pregevoli edifici. Molte altre ville hanno subito sorti diverse, alcune sono state trasformate in scuole, ospedali, abitazioni private. In alcune si è cercato di salvaguardare almeno l’esterno dell’edificio.
Molte sono state completamente snaturate o distrutte.
In conclusione, l’intervento statale è prioritario per salvare il patrimonio immobiliare e renderlo fruibile al pubblico, ma non è l’unica forma di salvaguardia possibile. Visti gli ingenti costi di mantenimento di cui questi edifici necessitano, non si può nemmeno ipotizzare una conservazione
museale per ogni villa. La trasformazione in strutture ricettive sembra offrire al momento un tornaconto economico sufficiente ad incentivare gli investimenti privati nel settore, garantendo comunque una certa fruibilità al pubblico. La trasformazione in abitazioni private ne limita l’accesso
al pubblico, ma grazie ai numerosi vincoli previsti, ne garantisce comunque un’accettabile conservazione, sgravi fiscali potrebbero incentivare i proprietari a svolgere lavori di mantenimento e restauro.
Grazie dell’attenzione

Lia De Luca, ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia